Raccolta stralci della stampa

Riferimento al Catalogo della Stampa dell'Archivio Nicola Ciletti presso la Biblioteca Provinciale di Benevento:

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Ismaele de Ciampis,

Il pittore Nicola Ciletti. Un'artista da valorizzare

in: "Il Giornale", anno XI, n.° 111, 11 maggio 1954

Mentre all'Archivio Storico Della Provincia si è aperta la mostra delle opere del pittore Achille Vianelli, inaugurata giorni fa in forma solenne da Ministri e Parlamentari, una altra mostra di pittura, più modesta e silenziosa, ma non per questo, a mio avviso, meno interessante, ha luogo contemporaneamente nel Salone della Camera di Commercio quella del pittore Ciletti.

Ciletti è già molto noto e conosciuto a Benevento e in provincia, eppure mai fino ad ora mi si era data l'occasione di poter osservare ed esaminare una raccolta completa delle sue opere. E' questo primo incontro mi ha consentito e mi consente di esprimere un giudizio positivo e concreto, sulla produzione di questo attempato artista sannita.

Innanzi tutto bisogna dire che Ciletti è un "sociale" nel senso cioè che ispira la sua arte ed i suoi dipinti alla "società" che lo circonda, alla gente che ama, all'ambiente in cui vive. Egli contempera il suo "paesaggismo" quasi sempre un po' scialbo ed indeterminato, con l'introdurvi e l'inquadrarvi, il che è frequente e costante pressoché in tutte le tele, elementi di vita e di esperienza. Raramente dipinge per descrivere o fotografare: quasi sempre lo fa per esprimere e per testimoniare, e vi riesce con più anima e più calore.

Egli non appartiene, in verità, ad alcuna delle ultime scuole pittoriche: non è un surrealista, né tantomeno un picassiano. La sua arte è un po' sulla linea del Guttuso. In sostanza è un arte che potremmo dire popolare, cioè cosciente, umana.

Si sente nei suoi quadri lo amore e l'attaccamento alla nostra terra. Esprimono essi, nella maggior parte, la sofferenza e il sacrificio della nostra gente.

Vi è in tutti la sensazione e la testimonianza dello sforzo dei nostri contadini, dei nostri operai, per il lavoro e per il pane quotidiano. La sofferenza è di quei poveri contadini che campano di rinunce e di spasimo. Il sacrificio è della gente che per vivere è disposta ad ogni lotta e ad ogni lavoro.

C'è, per esempio un quadro: " Portatrici di paglia ", in cui sono raffigurate due contadine che avanzano faticosamente curve e protese, con tutto lo sforzo dei loro muscoli, ognuna sotto un enorme fascio di paglia e di fieno. Un altro: " La lettera dalla Russia ", rappresenta un bracciante che stanco e sfiduciato, è assorto nella lettura di un foglietto, a sera, dopo il ritorno dal lavoro sfibrante dei campi, nella sua casupola disadorna e solitaria: Ancora, vi è il quadro del " Vento ", solenne e impressivo, dove si vive, letteralmente, la sensazione di squallore e di desolazione che invade, durante i grigi giorni dell'autunno, le nostre campagne ed i nostri paesi sperduti. " Terra e pane " rappresenta tre poveri operai, che sul mezzodì, madidi di sudore, consumano la loro misera colazione che consiste in un semplice tozzo di pane, ed uno di essi è un ragazzetto lacero ed affamato.

E così via; " Malaria ", " Fuoco spento ", " Riposo ", "I Falciatori ", " Gli umili ", tanto per citarne alcuni tra quelli che mi son piaciuti di più, traggono ispirazione e forza da queste dure esperienze di vita.

In essi si manifesta l'ammirazione per il lavoro della nostra umile gente dei campi; ed esprime una amara denuncia per le condizioni di miseria e di tristezza in cui questa gente è costretta a vivere.

Molto bello, per esempio, è il quadro de " I falciatori ", una squadra di operai che, a prima mattina, si reca al lavoro: e la selva delle falci, brilla e si staglia lucida ai primi raggi di sole. In questo quadro si nota una espressione di forza, di volontà, di energia, che promana dalla schiera di lavoratori che marcia risoluta e decisa, ed un particolare vi risalta: quello del vecchio bracciante, che ammicca furbesco, mostrando un solo dente nella bocca vuota, come una fornace spenta.

Ma in quasi tutte le opere sue, il Ciletti trasfonde un'ombra di tristezza e di malinconia sconfinate. Espressioni evidenti, anche se non apertamente confessate, del suo stato d'animo e della sua esperienza di vita.

E, alla fine dell'indagine si ricava da queste tele, pur se si resta depressi e rattristati, una constatazione fondamentale, che ritengo positiva: la passione di questo artista per la sua terra arida e avara ("Malaria"), per la sua povera gente, per le nostre campagne solitarie e silenziose.

Pittore e descrittore dunque della natura, delle nostra vita, e testimone dello sforzo tenace e costante di lavoro e di lotta dei nostri contadini, Ciletti merita di essere visitato, è, soprattutto, giustamente apprezzato. Forse egli non riesce, in questa sua produzione, a saper trarre una indicazione costruttiva, una soluzione positiva, alle sue e nostre constatazioni di povertà, di abbandono, di solitudine. E questo mio giudizio vuole avere solo carattere critico sotto l'aspetto umano, sociale, se è vero che l'arte deve essere, come io penso, soprattutto umanità e verità. Ché dal punto di vista artistico in senso puro, in senso cioè di luci e di colori, e di dissolvenze, io non voglio esprimere una critica, perché so di essere un profano.

Comunque, se molti quadri sono un po' tenui e forse evanescenti ed incerti nei loro toni (vedere soprattutto i paesaggi), molti altri hanno personalità e fisionomia determinate e precise, che restano

ben impresse nella memoria. Senza dire che vi è in quasi tutti una cura del particolare (il foglio di giornale in tasca,il cane curvo sotto l'influenza del vento, l'operaio che pensa mentre tutti i compagni dormono, i capelli di una testa di donna) che vale a comprovare, se fosse necessario la intelligenza e la sensibilità del nostro artista.

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